Andrea Camilleri, due anni fa ci lasciava il maestro siciliano

A due anni dalla sua scomparsa sono stati ritrovati quattro racconti giovanili di Andrea Camilleri

Era il 17 luglio del 2019 quando il maestro Andrea Camilleri se ne è andato all’età di 93 anni. Era nato a Porto Empedocle il 6 settembre 1925, lui diceva che “la felicità è nelle cose ridicole. Per me non ha motivazioni, non ne ha mai avute, per me è fatta di cose ridicole…” come “aprire la finestra al mattino, sentire l’aria fresca, guardare fuori. Alzarsi presto, aspettare che tutta la casa prendesse vita, sapere che dopo un po’ si sarebbero alzate le persone a me più care e che presto ci sarebbero state le loro voci intorno a me. E che poi avrei iniziato a scrivere.”

La felicità, dunque era questa per il maestro che ha esordito con “La Forma dell’Acqua” della serie di indagini del commissario Montalbano. Un vero successo che ancora oggi ci tramanda attraverso le letture o la visione delle repliche della fiction di Raiuno interpretata da Luca Zingaretti.

Ci aveva regalato anche un ultimo spettacolo sul palcoscenico del Teatro Greco di Siracusa, dove aveva impersonato Tiresia, l’indovino tebano cieco, che compare nell’Odissea e che indica a Ulisse la via del ritorno. Ne stava preparando un altro alle antiche Terme di Caracalla per regalare al suo amato pubblico lo spettacolo Autodifesa di Caino, ma non ce l’ha fatta, il suo cuore ha cessato di battere.

Adesso, a due anni dalla sua scomparsa, sono stati ritrovati quattro suoi racconti custoditi nell’archivio del giornale L’Ora, che era stato acquisito dalla biblioteca centrale della Regione siciliana, e che sono stati pubblicati su Facebook nella paginaL’Ora. Edizione straordinaria. Si tratta di “La barca”, “Un fatto memorabile”, “Tutto tornava ad essere come prima”, “Variazioni su di un ritorno”: sono quattro racconti giovanili di Andrea Camilleri. Di seguito, “Variazioni su di un ritorno” pubblicato sulla pagina Facebook “L’Ora. Edizione straordinaria”:

di ANDREA CAMILLERI
(L’Ora del popolo, 8 settembre 1949)
VARIAZIONI SU DI UN RITORNO
«“Lasciatemi solo”.
Voltandosi, aveva visto che i suoi vecchi soldati ancora lo seguivano quasi automaticamente, attratti ormai in questo essergli sempre vicini non più da quel senso di sicurezza e di guida certa che egli sapeva emanare soprattutto nei tanti momenti difficili trascorsi, ma come da un uso inveterato, da una abitudine ormai fattasi logora e della quale non si potesse più fare a meno.
Per una improvvisa illuminazione interiore egli aveva capito tutto questo e la frase gli era salita da se stessa sulle labbra, troppo spontanea per essere stata meditata. Ma ormai era troppo tardi per riparare in un modo qualsiasi e, alzando gli occhi che aveva tenuto fissi a terra nel pronunziare quelle parole, Ulisse guardò in viso ad uno ad uno i suoi soldati: notò allora in quei volti che egli aveva imparato a conoscere in ogni loro minima sfumatura di espressione, un senso di sorpresa e di attesa incerta.
“Lasciatemi solo, dico” – ripeté a voce bassa e trattenuta, la voce che i soldati sapevano essere quella delle ore di pericolo o di tensione, per averla udita ben altre volte. Poi voltò loro le spalle e cominciò a salire per lo stretto viottolo che portava alla sua casa.
La giornata era chiara di una bellezza quasi innaturale, appena appena percorsa da un timido filo di vento: altre volte, vedendo delle giornate simili a quella dall’alto del ponte di comando della sua nave, Ulisse s’era sentito slargare il cuore nel petto e un’irrefrenabile ebbrezza percorrergli le vene frammista al sangue; ma ora non provava questa sensazione, anzi avvertiva una strana stanchezza pesargli addosso come se avesse finito allora di fare una lunga corsa e proprio dal cuore gli veniva un leggero affanno nel respiro. Sentì immediato il bisogno di riposarsi e sedette su d’una pietra che era all’ombra di un albero, quasi un sedile.
Attorno a lui si elevavano le “sue” montagne. Quando era partito, tanti anni prima, aveva dimenticato di guardare le montagne della sua terra perché i suoi occhi erano rimasti come legati fino all’ultimo istante a quelli di sua moglie che lo salutava in lacrime. Il ricordo dello sguardo d’addio di Penelope gli era tornato alla memoria, per sere e sere prima di potersi abbandonare al sonno: era stata insomma l’unica ricchezza che egli credeva di avere portato dentro di sé dalla sua terra, dalla sua casa, per salpare per una guerra lunga e dubbia. Ma una notte, sotto le mura di Troia, chiuso nella sua tenda, egli aveva sentito da una qualche parte dell’accantonamento levarsi una di quelle tristi canzoni dei montanari che dicono della malinconia e della bellezza delle montagne, delle nevi su di esse, dei tremolanti falò notturni.
E allora aveva compreso come egli avesse voluto apposta dimenticare le montagne: per non sentire un richiamo troppo forte che gli avrebbe reso impossibile la lontananza. Ma da quella notte in poi, all’ora del rancio serale, si era seduto tra i suoi soldati perché quella era l’ora nella quale i ricordi prorompevano e il trattenerli faceva male al cuore. E con le semplici parole dei soldati s’era abbeverato in una tristezza sconsolata che gli faceva male e bene nello stesso tempo. Poche ore prima, vedendo profilarsi all’orizzonte le montagne di Itaca, egli s’era sentito scivolare in una commozione infantile, inadatta a un uomo come lui: ma ora che avrebbe potuto stampare i suoi passi su queste tanto sognate montagne, la commozione se n’era andata lasciandogli un vuoto dentro. La delusione di tutti i ritorni.
Un giorno di tempesta egli ricordò, che la nave dovesse affondare di momento in momento e tutti gli uomini si raccomandavano al cielo perché potessero tornare a riabbracciare le spose e i figli, s’era incontrato faccia a faccia sul ponte con Patroclo, il più giovane dei suoi soldati. Proprio in quel momento si era levata un’onda immane a spazzare la nave ed egli gli aveva urlato: “Aggrappati alle corde!”. E subito aveva visto invece Patroclo abbandonare le corde e gridandogli in viso: “Non voglio tornare” lasciarsi prendere dall’onda e sbattere in mare. Allora non aveva capito quel gesto, ora sentiva però di comprenderlo pienamente.
Si alzò adagio e riprese a camminare per il viottolo. Non voleva pensare più a niente, ora sapeva quanto facile fosse il suo cuore a mettersi per la china dei ricordi. Tanto, ormai era giunto.
Entrò nel cortile e lo vide deserto. Si fermò esitante. Da un angolo allora un cane si mosse con lentezza, venne traballando verso di lui. Ulisse subito lo riconobbe: era il suo cane, vecchissimo, un miracolo che fosse ancora vivo. Non provò però alcun senso di contentezza e respinse con fastidio l’animale che gli si voleva strofinare addosso. Mosse alcuni passi e fu dentro la sua casa. Udì il suo nome gridato a voce altissima e si trovò con Penelope tra le braccia delirante, impazzita. Sentì la gioia della donna cozzare contro il suo corpo come contro un muro e ritornare indietro, respinta.
In quell’attimo il suo sguardo si fissò su di una finestra aperta che era dietro le spalle di Penelope: nel riquadro, lontano, si affacciava un lembo di mare azzurro di una dolcezza invitante».

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